Intervista a Meo Sacchetti
Credere nei propri sogni, con passione
E’ il consiglio di Romeo Sacchetti, personaggio di spicco nel panorama cestistico italiano e non solo. Ecco cosa ci ha raccontato della sua carriera di giocatore e di allenatore. E sulla pallacanestro…
La sua storia parte da Altamura, il paese in provincia di Bari dove la famiglia era tornata dopo un periodo in Romania, dove i bisnonni erano andati per lavorare nelle cave. Dopo la perdita del padre, si trasferisce a Novara, dove scopre la sua passione per il basket. Passione che lo porterà a una prestigiosa e importante carriera da giocatore prima e allenatore dopo, coronata da grandi risultati sportivi culminati nella stagione 2015-16 con un fantastico tris di successi tra cui il primo titolo italiano alla guida di Sassari. In occasione della consegna, lo scorso 21 marzo del Premio Speciale Retina d’Oro, Mauro Rufini, Presidente di UniCredit Basket e del Premio Retina d’Oro ha dichiarato: “abbiamo inteso riconoscere una figura di alto profilo che si colloca a pieno titolo nel brand di eccellenza del nostro premio”. Con Meo Sacchetti abbiamo parlato della sua passione per il basket, dei suoi sogni e non solo.
Il bilancio di una lunga carriera è fatto di vittorie , ma anche di sconfitte. Quali sono, tra i tanti, i ricordi più belli?
Sicuramente l’esordio in Nazionale ad Ancona contro il mio idolo di quei tempi, il messicano Manuel Raga. Poi le Olimpiadi e i successi con il Sassari. Forse il più bello di tutti, ancora prima dello scudetto è stato la conquista della prima Coppa Italia, quella del 2014, perché per la squadra è stato l’inizio di una serie positiva di affermazioni.
E i momenti peggiori?
Da giocatore quando mi sono rotto il ginocchio. L’ho vissuto come un dramma, anche se ho giocato ancora un anno. Dopo aver fatto tanto per arrivare a un certo livello, non giocare la finale fino in fondo è stato brutto. Come allenatore ricordo invece gli esoneri di inizio carriera, che hanno pesato più dell’ultimo, anche se non si possono paragonare.
Che caratteristiche ha coach Sacchetti?
Io mi definirei flemmatico, magari con una componente sanguigna… Gli altri dicono che ho qualcosa che ricorda Dido Guerrieri. In realtà posso dire che ho avuto i migliori maestri che mi potevano capitare: Sandro Gamba, Valerio Bianchini, Riccardo Sales, allenatori come Ettore Zuccheri e Bruni che mi hanno sempre insegnato qualcosa. Come allenatore mi piace avere giocatori che esprimano le loro capacità in pieno, che non abbiano paura in campo. Questa è un po’ la mia filosofia: persone serie che possono anche sbagliare giocando, fa parte del gioco, che però esprimano tutto il potenziale. E poi, sembra un’ovvietà, mi piacciono i giocatori con talento.
Facciamo un po’ di fantabasket: se potesse creare una sua squadra chi vorrebbe convocare?
Awudu Abass sta diventando un giocatore importante, persino in ottica nazionale, anche se in quel ruolo siamo ben coperti. Guardando all’estero, ci sono tanti giocatori. Ho una predilezione per i playmakers perché rendono il gioco più facile per la squadra. Sono rimasto colpito da Milos Teodosic quando abbiamo giocato contro il CSKA. Ha una visione della pallacanestro differente, come pochi in Europa.
Qual è secondo lei il difetto peggiore del basket contemporaneo? Molti lo criticano perché troppo muscolare, meno tecnico…
E’ un’evoluzione naturale che hanno subito tutti gli sport, bisogna accettarlo per quello che è. Anche la pallacanestro, come tutte le cose, cambia. Una volta noi ragazzi non avevamo niente di meglio che andare al campetto a tirare, oggi è diverso. Tornare indietro non si può. Anche se questo non ha di fatto creato un basket migliore, secondo me dire che una volta era meglio è uno sbaglio e, soprattutto è inutile.
Perché tanti talenti dall’estero? in Italia non ci sono o non vengono valorizzati?
Perché ci sono delle regole. Su una rosa di 12 giocatori, si possono avere 7 stranieri. perciò uno sceglie in base ai giocatori che ha a disposizione e alla sua visione di pallacanestro. Certamente gli allenatori italiani vorrebbero allenare italiani, però, ora come ora, non sono tanti i giocatori italiani che fanno la differenza. Insomma, è un po’ un gatto che si morde la coda: bisognerebbe dar loro più spazio per farli crescere, ma la nostra è una pallacanestro che non permette di avere i tempi per sbagliare.
Romeo Sacchetti come è arrivato al basket?
Giocavo a calcio in porta, ma non riuscivo a legare tanto con i compagni, forse perché erano tutti ragazzi più grandi di me. Poi ho visto una partita in tv, all’oratorio c’era un canestro. Ho iniziato così, poi sono andato in un’altra squadra a Novara e, passo dopo passo, tra Asti, Torino, Bologna ho fatto la mia trafila. E, dopo l’infortunio, ho iniziato la carriera di allenatore.
E se non avesse giocato a basket?
Mi sarei cimentato con il rugby, una disciplina sportiva che ho purtroppo conosciuto tardi. Trovo che nel rugby ci sia un senso dello sport differente: sul campo i giocatori se le danno di santa ragione, ma c’è un grande rispetto per l’avversario anche nella sconfitta. E’ una cosa che anche noi del basket dovremmo prendere ad esempio.
Cosa direbbe a un ragazzino che ha passione per la pallacanestro e vorrebbe svilupparla? Quali doti o quale mentalità bisogna avere?
Prima di tutto bisogna avere la passione, poi credere nei sogni. E, soprattutto, non farsi intimorire da giudizi negativi di allenatori o giornalisti Al contrario, bisogna avere fiducia in se stessi e continuare per arrivare al massimo delle proprie potenzialità. Poi si può avere più o meno talento, le potenzialità possono essere varie. Ma non bisogna mai farsi tarpare le ali o rinunciare ai propri sogni i sogni perché qualcuno che dice che non siamo adatti.
Come sta vivendo questo momento di pausa nella sua carriera?
Così tanto tempo libero non l’ho mai avuto, all’inizio ero spiazzato, ma adesso ho imparato a organizzarmi. Sogni ne ho sempre tanti. Ogni tanto i sogni si avverano; quando ero giocatore sognavo di vincere lo scudetto ma non ce l’ho fatta. Vincerlo da giocatore è più bello che vincerlo da allenatore. Io penso sempre che la parte importante della pallacanestro siano i giocatori, gli allenatori possono influire per il 20-30%. Adesso sono diventato molto più flemmatico. Intanto ho modo di coltivare le mie altre passioni, i viaggi e la terra. Finalmente posso dedicare al mio giardino non più solo i ritagli di tempo. Nella vita ho capito che bisogna saper cogliere le occasioni quando capitano.
Intervista a cura di Alessandra Cipolla