Intervista a Carlton Myers per la Retina d’Oro
Carlton Myers, a cui è stato conferito lo scorso 28 aprile il “Premio Speciale Retina d’Oro 2016”, racconta emozioni e successi di uno sport che ancora adesso, lontano dal parquet, gli dà tanto.
Era il 26 gennaio 1995. Al Pala Flaminio andava in scena Rimini-Udine, incontro del campionato di A2 terminato 147-99 e passato alla storia per aver visto il record di punti segnati in una sola gara dallo stesso giocatore, ben 87. Quel giocatore era Carlton Myers.
Basterebbe quel record a fare dell’atleta nato a Londra (ma riminese a tutti gli effetti) un patrimonio della pallacanestro italiana. Ma da quel 1995 in poi sono stati tanti e importanti i traguardi raggiunti da Myers: un oro e un argento agli Europei del ’95 e del ’97, uno scudetto a Bologna sponda Fortitudo, una Coppa Italia, due Supercoppe, il titolo di MVP di Serie A conquistato per ben due volte. E, traguardo non meno importante, l’onore di portare la bandiera italiana ai Giochi Olimpici di Sidney 2000.
Lei ha raggiunto tanti traguardi importanti. Quale considera il punto più alto della sua carriera?
Tutte le vittorie rappresentano dei momenti importanti nella carriera di un giocatore, ma quella che per me ha un valore speciale è la conquista della Coppa Italia nel 1998 con la Fortitudo Bologna: si trattava del primo trofeo importante, per me e per la società, e per questo la ricordo in modo particolare. Naturalmente anche le vittorie agli Europei con la Nazionale o la conquista degli scudetti contano molto, ma quella resterà per sempre la più grande emozione.
Lei è stato il portabandiera per l’Italia ai Giochi Olimpici di Sidney nel 2000. Che valore ha avuto per Lei quell’esperienza?
È difficile spiegare a parole cosa ho provato in quell’occasione. La sera precedente la cerimonia di apertura ero un po’ nervoso, mi facevo tante domande: come avrei dovuto impugnare la bandiera, cosa avrei fatto se fossi malauguratamente caduto…Poi è arrivato il momento di sfilare, e in realtà la cosa è durata pochi minuti, ma quello che mi è rimasto è una grandissima emozione.
In questo momento sta vivendo un periodo molto difficile una squadra in cui Lei ha giocato da protagonista, ovvero la Virtus Roma. Cosa ricorda in modo più sentito degli anni trascorsi con quella maglia?
Il momento più bello è stato forse il raggiungimento dei 10000 punti, un traguardo importante per qualsiasi giocatore. Il primo anno con la Virtus è stato molto particolare: la squadra faticò molto nel girone di andata, mentre dominò nel girone di ritorno, riuscendo a raggiungere i quarti di finale dei play off. A Roma mi sono sempre trovato molto bene, sia io che la mia famiglia, l’ambiente è caloroso. La predominanza del calcio, purtroppo, forse ha tolto qualcosa al basket, impedendogli di affermarsi ai massimi livelli. Ma quando ci sono, i tifosi si fanno sentire, eccome!
Esistono differenze, e se sì quali, tra la sua pallacanestro e quella di oggi?
Dal punto di vista atletico vi sono sicuramente molte differenze, oggi si gioca un basket molto più fisico. Ma è soprattutto dal punto di vista dello spirito che ho visto grandi cambiamenti: un tempo i giocatori restavano nella stessa società almeno due o tre anni, oggi cambiano maglia in pochi mesi. È difficile per ogni tifoso, quindi, affezionarsi a un atleta in modo particolare.
Attualmente collabora con la Honey Sport Club in qualità di Responsabile del Progetto Settore Giovanile. Cosa significa per Lei lavorare a contatto con i giovani, e quali valori cerca di trasmettere loro?
Con la HSC e la Virtus Roma portiamo avanti un progetto denominato «Educare Giocando», che come dice il nome stesso si pone l’obiettivo di insegnare a tanti ragazzi valori come l’impegno e la lealtà attraverso la pratica dello sport. È un progetto che mi sta molto a cuore, poiché sono fermamente convinto che esistano quattro realtà educative: la famiglia, la scuola, lo sport e la fede nel Signore. A volte, come genitori, con i tanti impegni e i tanti problemi della vita quotidiana, non riusciamo a essere perfetti. Ed è a quel punto che entra in gioco la scuola…ma spesso non basta. Per uno che, come me, ha interrotto presto gli studi, lo sport è una realtà educativa fondamentale. Io ho imparato tutto sul campo: la disciplina, il rispetto per gli avversari e per i compagni, l’umiltà tanto nelle vittorie quanto nelle sconfitte. Questi concetti li ho capiti forse tardi, ma fortunatamente in tempo per farli miei, tanto da poterli trasmettere ai ragazzi. Sono convinto che lo sport costituisca per i giovani un’opportunità che si riflette positivamente anche sul rendimento scolastico, un mezzo educativo molto più potente di quanto si possa immaginare. Infine, nella mia vita soprattutto da alcuni anni a questa parte, un ruolo fondamentale è rappresentato nella fede, che mi dà una grande pace interiore.
a cura di Martina Borzì